Di recente ci siamo soffermati sul tema dell’installazione di sistemi di videosorveglianza nel contesto condominiale, in particolare laddove la maggioranza dei condomini intenda ricorrere a tale forma di tutela a fronte di minoranze (se non addirittura singoli) che non gradiscono simili soluzioni ritenendole lesive della propria privacy (o del proprio conto). Si è già avuto modo di sottolineare che la giurisprudenza della Corte di Cassazione ha cristallizzato il principio dell’applicabilità a tali situazioni della norma di cui all’art. 1122-ter Codice Civile, secondi cui le deliberazioni condominiali concernenti l’installazione su parti comuni di impianti volti a consentire la video sorveglianza di esse sono approvate dall’assemblea con la maggioranza di cui all’art. 1136, comma 2, c.c. Tale principio tuttavia deve essere declinato anche nelle ipotesi a contrario, vale a dire quelle in cui il desiderio di installare l’impianto di videosorveglianza sia di un singolo condomino mentre gli altri invece vi si oppongano. Questa ipotesi diviene ancor maggiormente complessa laddove l’installazione della telecamera fosse relativa a locali commerciali che si trovano nel condominio stesso, generalmente posti al piano terreno e relativamente ai quali l’esigenza di sicurezza deve essere vagliata con particolare attenzione.
Il negoziante avrà diritto – nonostante l’opposizione degli altri condomini – ad installare telecamere a tutela della propria attività? O prevarrà il diverso interesse della maggioranza? Un tema di notevole interesse, che merita approfondimento partendo da…
Il caso del negozio videosorvegliato
La società Alfa gestisce un negozio con ingresso posto a bordo strada nel centro della città, il quale è inserito in un contesto condominiale. A causa dei numerosi accessi della clientela – che spesso generano situazioni di relativa confusione – e del valore delle merci trattate, Alfa decide di installare un sistema di videosorveglianza posizionato all’esterno dei locali. Per non incorrere in criticità sotto il profilo della privacy, Alfa orienta le telecamere in modo tale da riprendere esclusivamente le aree di propria competenza, purtuttavia a qualcuno questo non sembra essere sufficiente: e questo “qualcuno” è proprio il Condominio ove di trova il negozio, il quale tramite il proprio amministratore decide di ingiungere ad Alfa di rimuovere il sistema di videosorveglianza installato.
Un condominio rigoroso…
Codice Civile alla mano, il Condominio cita pedissequamente il contenuto dell’art. 1122-ter, per cui – come visto – le deliberazioni concernenti l’installazione sulle parti comuni dell’edificio di impianti volti a consentire la videosorveglianza su di esse sono approvate a maggioranza dall’assemblea. In questo caso, tuttavia, l’assemblea non si era mai pronunciata in merito in quanto Alfa aveva deciso autonomamente di procedere all’installazione del sistema TVCC, e pertanto nessuna maggioranza aveva potuto formarsi in proposito. Addirittura, volendo ragionare a contrario, la decisione del Condominio di agire nei confronti di Alfa per la rimozione delle telecamere stimmatizza l’evidente opposizione della maggioranza dei condomini a detta installazione. Non solo: il Condominio osserva che le telecamere risultano installate sulla facciata, vale a dire una parte comune dell’edificio, e pertanto questo implicherebbe un abuso della cosa comune che il medesimo non intende accettare.
E per questo, agisce direttamente in giudizio nei confronti di Alfa.
La difesa della società
A fronte di tali osservazioni, Alfa sottolinea innanzitutto di ritenere legittima l’installazione dell’impianto di videosorveglianza in quanto questo è destinato ad un suo utilizzo esclusivo, e pertanto le norme in tema di delibera sopra citate non dovrebbero trovare applicazione nei propri confronti. Infatti, sottolinea la società, l’art. 1122 ter Codice Civile è destinato a disciplinare l’installazione di impianti di videosorveglianza da parte del Condominio nell’interesse di quest’ultimo, non potendo invece trovare applicazione con riferimento ad una decisione assolutamente privata del singolo. Inoltre, la società evidenza come le telecamere installate siano di tipo fisso (e pertanto senza brandeggio o comunque possibilità di attuare forme di “inseguimento”) e disposte in posizione praticamente parallela alla facciata, vale a dire orientate sugli ingressi del negozio e senza che sia possibile ampliare il campo di ripresa a spazi distanti ed ulteriori.
E in giurisprudenza?
Nessun dubbio che l’impianto oggetto del contendere sia ad uso esclusivo di Alfa. Da questo fatto derivano importanti conseguenze in diritto. Innanzitutto, nel caso rappresentato non trova applicazione l’arti. 1122 ter c.c., in quanto non si tratta di un impianto di video sorveglianza condominiale posto a salvaguardia di parti comuni, bensì di una soluzione di proprietà esclusiva, posta a tutela di beni di proprietà del singolo condomino. Del resto, il Condominio non ha contestato (e tantomeno dimostrato) che Alfa abbia effettuato un utilizzo delle riprese diverso rispetto a quello strettamente indispensabile alle ragioni che ne hanno determinato l’istallazione – vale a dire la vigilanza e custodia del negozio – come si può evincere dalle stesse modalità di collocazione dell’impianto.
In termini di privacy, l’istallazione delle telecamere per come descritta non risulta costituire violazione di un diritto fondamentale dei condomini, ed appare lecita in quanto proporzionata alla tutela della sicurezza del negozio a seguito di un corretto bilanciamento degli interessi coinvolti. Sotto questo profilo è stato opportunamente notato che tale ricostruzione ben si concilia con una recente pronuncia della Corte di Giustizia UE, sez. III (sentenza 11 dicembre 2019 n.708) in cui si è statuito che le disposizioni comunitarie in tema di protezione dei dati personali devono essere interpretate nel senso che esse non ostino a disposizioni nazionali che autorizzino la messa in opera di un sistema di videosorveglianza (come il sistema controverso di cui al presente caso) al fine di perseguire legittimi interessi consistenti nel garantire la sicurezza e la tutela delle persone e dei beni senza il consenso di altri, qualora il trattamento di dati personali effettuato mediante detto sistema di videosorveglianza soddisfi le condizioni di cui alle disposizioni comunitarie applicabili. Si rammenta qui che, per come riconosciuto dallo stesso EDPB (European Data Protection Board) sebbene in linea di principio un sistema di videosorveglianza possa essere definito sulla base di ciascuno dei criteri di liceità di cui all’art. 6 (1) GDPR, nella pratica la base giuridica di gran lunga più utilizzata è l’interesse legittimo di cui alla lett. (f) dell’articolo citato (per un esauriente approfondimento in merito, cfr. EDPB Guidelines 3/2019 on processing of personal data through video devices).
Con riferimento invece al fatto che le telecamere siano istallate sulla facciata, parte comune dell’edificio, la contestazione proposta dal Condominio non risulta fondata, in quanto in conformità all’art. 1102 Codice Civile l’utilizzazione del bene comune fatta da Alfa non altera assolutamente la destinazione del bene comune né compromette il diritto al pari uso da parte dei comproprietari. Con il conseguente rigetto della domanda del Condominio e la conferma della legittimità dell’operato di Alfa.
La massima
Anche da questo caso vogliamo provare a trarre una massima che possa essere di aiuto nell’affrontare situazioni simili a quella rappresentata. In particolare, vertendo l’oggetto del contendere innanzitutto sull’applicabilità delle disposizioni codicistiche in tema di delibera condominiale alla tipologia di impianti di videosorveglianza descritti, si può individuare il relativo principio di diritto come segue: “Nel caso di installazione di impianto di videosorveglianza da parte di un privato nel contesto condominiale, non trova applicazione l’arti. 1122 ter Codice Civile., in quanto non si tratta di un impianto condominiale posto a salvaguardia di parti comuni, bensì di proprietà esclusiva e posto a tutela di beni di proprietà del singolo condomino”.
L’articolo è stato pubblicato su GIE ed è stato scritto da Tommaso E. Romolotti e Laura Marretta