L’obiettivo è particolarmente ambizioso perché, nelle intenzioni del ministro dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica, Gilberto Pichetto Fratin, alla base del provvedimento messo a punto in questi giorni c’è la nascita di 15 mila comunità energetiche (Cer) in Italia. “Abbiamo lavorato senza sosta in queste settimane e ora, dopo aver avviato ieri l’iter con l’Ue sulla proposta di decreto, attendiamo il via libera che confidiamo giunga in tempi brevi. Il testo comprende due misure distinte”, racconta il ministro in un’intervista raccolta da Il Sole 24 Ore. “Da un lato un intervento generale di incentivazione per chi si associa nelle comunità energetiche con una premialità per l’autoconsumo. Dall’altro uno stanziamento del Pnrr di 2 miliardi e 200 milioni per il finanziamento a fondo perduto fino al 40% dei costi di realizzazione di un nuovo impianto o per il potenziamento di un impianto esistente nel territorio di Comuni fino a 5mila abitanti”. I due sostegni potranno essere cumulati? “Solo le comunità energetiche che sorgeranno nei piccoli Comuni, oltre a ottenere un finanziamento a fondo perduto, potranno fruire degli incentivi per le Cer validi per tutto il territorio nazionale”, continua Fratin. Gli obiettivi sono di incrementare la produzione da rinnovabili e di consentire un sostanziale risparmio nei costi dell’energia grazie a un taglio importante al caro-bollette per famiglie e imprese.
Come creare una comunità energetica
Grazie alla conversione in legge del Decreto Milleproroghe 162/2019 sono state introdotte anche nel nostro Paese le “Comunità Energetiche Rinnovabili” previste dalla Direttiva Europea RED II (2018/2001/UE). Per creare una comunità energetica il primo passo da compiere è la costituzione di un’entità legale tra i futuri soci della comunità, siano essi persone fisiche, piccole o medie imprese, enti territoriali o amministrazioni pubbliche locali. Dal momento che, per legge, lo scopo di una comunità energetica non può essere il profitto, le forme più comunemente utilizzate per ragioni di praticità e convenienza sono quelle dell’associazione riconosciuta o della cooperativa.
Il passo successivo consiste nell’individuare l’area dove installare l’impianto (o gli impianti) di produzione, che dev’essere in prossimità dei consumatori. Per esempio, una PMI oppure una Pubblica Amministrazione può installare un impianto fotovoltaico, rispettivamente sul proprio stabilimento produttivo o scuola, e condividere l’energia prodotta e immessa in rete con i cittadini del Comune che hanno deciso di far parte della comunità. Allo stesso modo si possono costituire comunità di quartiere, comunità agricole, comunità di borgo e così via. L’impianto non deve necessariamente essere di proprietà della comunità: può essere messo a disposizione da uno solo o più dei membri partecipanti o addirittura da un soggetto terzo.
Una volta messo in esercizio l’impianto, la comunità può fare istanza – anche tramite un’azienda esterna allo scopo delegata – al Gestore dei Servizi Energetici (GSE) per ottenere gli incentivi previsti dalla legge per l’energia condivisa.
Le regole
Come ripartire fra i membri i ricavi derivanti dall’energia prodotta attiene alle regole di funzionamento della comunità energetica, che ciascuna comunità stabilisce liberamente attraverso un contratto di diritto privato. Per esempio si può decidere di ripartire i guadagni della vendita dell’energia in eccesso in modo uguale fra tutti i soci ma di privilegiare, nella suddivisione degli incentivi, quanti si sono adoperati affinché i propri consumi fossero contemporanei alla produzione di energia o addirittura premiare quei soggetti che hanno messo a disposizione i propri impianti per il beneficio comune.
Da un punto di vista pratico, ogni membro della comunità continua a pagare per intero la bolletta al proprio fornitore di energia elettrica, ma riceve periodicamente dalla comunità un importo per la condivisione dei benefici garantiti alla comunità. Tale compenso, non essendo tassato, equivale di fatto a una riduzione della bolletta.