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Tra le criticità che caratterizzano questo bizzarro momento storico si sta facendo sempre maggiore strada quella di eventi che rendono la prestazione eccessivamente onerosa per una delle parti contrattuali. Tali ipotesi sono purtroppo sotto gli occhi di tutti: contratti di appalto o di fornitura divenuti difficili da rispettare a causa dell’aumento esponenziale dei prezzi dell’energia e delle materie prime sono ormai ricorrenti e tra le parti non sempre si riesce a trovare una soluzione idonea. Si pensi a titolo di esempio ad una società che incarica un appaltatore dell’installazione di un impianto per un determinato costo convenuto a corpo, e che nel corso dello svolgimento dell’opera a causa di eventi non prevedibili il costo dei materiali necessari (cavi, quadri elettrici, carpenterie…) lieviti in modo esponenziale ponendo così l’installatore di fronte al dilemma tra il corretto adempimento delle proprie obbligazioni contrattuali e l’effettiva possibilità economica di affrontare l’incarico assunto: di fronte ad un’eventuale posizione di irrigidimento del committente, quali possono essere gli elementi giuridici rilevanti per la risoluzione del caso?

Impossibilità ed eccessiva onerosità: due ipotesi distinte
Occorre innanzitutto distinguere tra due ipotesi che talvolta nella prassi appaiono caratterizzate da elementi di analogia: l’impossibilità e l’eccessiva onerosità. Il primo caso, che trova disciplina piuttosto frammentaria negli articoli del Codice Civile, attiene al sopravvenire di un’effettiva mancanza della possibilità di adempiere alla propria prestazione a causa di un evento non imputabile al debitore, che può essere attribuito ad esempio ad un evento naturale estremo non controllabile dall’uomo (il c.d. Act of God, e.g. tempeste, inondazioni, terremoti, eruzioni, etc.) ovvero all’adozione di un provvedimento autoritativo (c.d. Factum Principis) che impedisce sotto il profilo normativo o regolamentare, in via definitiva o temporanea, l’esecuzione della prestazione – tipologia questa di provvedimenti in merito alla quale siamo divenuti tutti nostro malgrado esperti nel corso dei drammatici mesi del lock-down.
Si noti che la giurisprudenza ha sottolineato che non possono integrare forza maggiore una situazione di oggettiva difficoltà di natura finanziaria né crisi economiche congiunturali od addirittura strutturali, posto che tali circostanze non costituisce una legittima causa di impossibilità ad adempiere essendo direttamente riconducibili alla sfera del normale rischio di impresa.
L’eccessiva onerosità si distingue quindi dall’impossibilità proprio in quanto gli eventi sopravvenuti . per quanto eccezionali – non impediscono tout court l’esecuzione della prestazione ma la rendono comunque eccessivamente onerosa. Una differenza di non poco conto, in quanto a fronte della difficoltà del debitore nell’adempiere a quanto dovuto si pone il diritto del creditore a ricevere la prestazione comunque possibile secondo le modalità (e soprattutto prezzi…) concordati in sede contrattuale.

La cassetta degli attrezzi: strumenti giuridici previsti dall’ordinamento
Occorre pertanto individuare quali siano gli strumenti principali offerti dal nostro ordinamento giuridico al fine di gestire situazioni come quella sopra descritta.
Innanzitutto si consideri che il Codice Civile dedica espressamente un articolo all’ipotesi di eccessiva onerosità sopravvenuta. L’art. 1467 c.c. infatti dispone che nei contratti a esecuzione continuata o periodica, ovvero a esecuzione differita, se la prestazione di una delle parti è divenuta eccessivamente onerosa per il verificarsi di avvenimenti straordinari e imprevedibili la parte che deve tale prestazione può domandare la risoluzione del contratto.
Elementi di cui tenere conto sono pertanto (i) il fatto che il momento dell’esecuzione del contratto sia successivo rispetto al momento della stipula dello stesso – vale a dire che l’elemento temporale possa influire sul verificarsi degli avvenimenti sopraggiunti, e che questi ultimi (ii) siano straordinari e non prevedibili (quantomeno secondo un criterio di ragionevolezza). Si tratta pertanto del sopraggiungere di un evento esterno alle parti contrattuali, straordinario sia sul piano oggettivo (imprevedibilità) che su quello soggettivo (inevitabilità) e che pertanto travalica il contesto ordinario di mercato (e.g. le normali fluttuazioni del valore di merci o materie prime).
La soluzione proposta dalla norma, pertanto, assume natura demolitoria del contratto in quanto sembra implicare che a fronte del sopravvenire di un’eccessiva onerosità il rimedio principale sia sostanzialmente quello della risoluzione del rapporto tra le parti. Non si deve certo dimenticare che lo stesso art. 1467 c.c. proponga una sorta di “cuscinetto” prevedendo che la parte contro cui la è domandata la risoluzione possa evitarla offrendo di modificare equamente le condizioni del contratto, tuttavia questo sembra essere una sorta di rimedio concesso al creditore al fine di non vedere vanificata l’attesa che il medesimo riponeva nell’esecuzione della prestazione. In altri termini, a fronte della possibilità del creditore di salvare il rapporto contrattuale mediante l’equa modifica delle relative condizioni, la disposizione in commento non prevede un corrispondente diritto del debitore di ottenere un’equa rettifica o di pretendere che l’altro contraente accetti l’adempimento a condizioni mutate.
L’eccessiva onerosità sopravvenuta è un fenomeno che in poco tempo è passato da ipotesi residuale ed eccezionale ad evento “massivo” dapprima con la pandemia da SARS-Cov-2 e successivamente (forse con impatti ancora maggiori) con la crisi dell’energia e delle materie prime. Gli eventi bellici hanno poi implicato criticità ulteriori che hanno portato gran parte delle imprese a doversi confrontare direttamente (come fornitori od acquirenti) con tale spiacevole situazione. E così si è reso evidente che l’impostazione basata sulla risoluzione del rapporto contrattuale si pone come scarsamente utile in un contesto dove i rapporti coinvolti sono numerosi e le parti hanno come primario interesse il mantenimento degli stessi – quantomeno nei limiti della ragionevolezza.
L’ordinamento italiano conosce in tal senso un ulteriore correttivo contenuto nell’art. Art. 1664 c.c. il quale prevede che con riferimento ai contratti d’appalto, qualora per effetto di circostanze imprevedibili si siano verificati aumenti o diminuzioni nel costo dei materiali o della mano d’opera, tali da determinare un aumento o una diminuzione superiori al decimo del prezzo complessivo convenuto, l’appaltatore o il committente possono chiedere una revisione del prezzo medesimo. Tale revisione può essere accordata solo per quella differenza che eccede il decimo. La norma offre una soluzione operativa sicuramente interessante, che trova tuttavia un limite sia nel contesto di applicazione oggettivo (i soli contratti d’appalto, di regola) nonché sotto il profilo descrittivo, posto che il criterio delineato presenta comunque margini di interpretabilità piuttosto ampi, soprattutto con riferimento agli effettivi obblighi delle parti.

Eccessiva onerosità e buona fede contrattuale
E’ stato di recente rilevato che a fronte delle disposizioni formali di cui all’art. 1467 c.c. deve essere preso in considerazione l’obbligo delle parti di comportarsi secondo buona fede e correttezza. Principio quest’ultimo che sembra aprire la strada all’introduzione di un dovere per la parte avvantaggiata di rinegoziare un contratto ormai non più equo.
Rappresentando la buona fede un criterio di ordine pubblico, questa sembra venire ad implicare che la rinegoziazione del contratto inficiato da eventi sopravvenuti si ponga come fase necessaria. Ovviamente questo non implica un obbligo di concludere un nuovo accordo modificativo, ma comunque comporta la necessità per le parti ad essere disponibili all’intavolare trattative per la rinegoziazione conducendole in modo corretto. Una distinzione di non poca importanza, se si considera che da questa possono derivare conclusioni in termini di corretto adempimento, potendosi considerare inadempiente la parte che, sebbene tenuta alla rinegoziazione, vi si opponga a priori o comunque non conduca la trattativa secondo correttezza.

Le clausole di hardship
Chi fa da sè, fa per tre. Proverbi a parte, da quanto sopra risulta evidente che il tema dell’eccessiva onerosità sopravvenuta proponga notevoli peculiarità ed incertezze sotto il profilo giuridico.
Una possibile soluzione a livello preventivo può essere di conseguenza individuata nella definizione nel contratto originario di clausole che prevedano le modalità di aggiustamento del rapporto contrattuale in caso di eventi sopravvenuti ed eccezionali che ne alterino gli equilibri. Tali clausole, spesso definite come di hardship, prendono conseguentemente in considerazione sin dal momento della stipula originaria del contratto il fatto che nel corso della relazione possano realizzarsi situazioni che locuzione che rendano difficoltosa per una parte l’esecuzione delle obbligazioni assunte a causa dell’alterazione dell’equilibrio originario, definendo così rimedi specifici per tali situazioni che consentano la sopravvivenza del contratto passando per fasi come ad esempio la sospensione temporanea, la rinegoziazione, l’individuazione di un soggetto terzo che sarà incaricato di ricondurre il contratto ad equità, etc. Ovviamente mediante tali clausole sarà possibile anche gestire la soluzione più drastica, ovverosia la risoluzione del rapporto contrattuale, magari integrando le previsioni già contenute in tal senso nell’art. 1467 c.c.
Venendo a concludere, il contesto attuale dimostra che un fenomeno prima poco avvertito o diffuso come l’eccessiva onerosità sopravvenuta sia ormai divenuto un aspetto che può coinvolgere ogni attività ed a qualsiasi livello della supply chain. Conoscere da un punto di vista giuridico la disciplina di tali situazioni per affrontarle, meglio ancora se da un punto di vista preventivo, è pertanto divenuta per l’impresa una necessità più che un vezzo contrattuale.

APPROFONDIMENTI
Per utili approfondimenti sul tema, si faccia riferimento anche alla Relazione tematica n. 56 – 8 luglio 2020 pubblicata dall’Ufficio del Massimario e del Ruolo della Corte Suprema di Cassazione.

Avv. Tommaso Romolotti