Lo scorso anno sono stati installati 778 MW di nuova potenza da rinnovabili, confermando la tendenza positiva dell’ultimo triennio e l’uscita dalla crisi che aveva portato la redditività del settore a -14,2%. Vittorio Chiesa: “Serve uno sforzo di sistema che forse il mercato è finalmente pronto a fare”.
Nel corso del 2016 sono stati installati in Italia 778 MW di nuova potenza da rinnovabili, soprattutto fotovoltaico ed eolico. Un numero che conferma la tendenza positiva dell’ultimo triennio, dal 2014 ad oggi, e l’uscita definitiva dalla “turbolenza” innescata dalle profonde modifiche al regime di incentivazione cominciate nel 2012. Se infatti tra il 2008 e il 2012 il settore era decollato, con un tasso di crescita medio annuo del 7,5%, si è assistito tra il 2012 e il 2015 a un calo drammatico quantificabile in un -14,2% annuo, che ha sostanzialmente vanificato l’effetto degli anni precedenti, ma che tuttavia ha lasciato una filiera per certi versi più solida, specialmente per quanto riguarda le aziende detentrici degli asset.
Infatti, oggi ci si trova davanti a una filiera industriale di tutto rispetto (risultato di un inevitabile processo di concentrazione) caratterizzata da una certa solidità della redditività operativa e capace di garantire – a meno di ulteriori “stravolgimenti” normativi che questa volta però metterebbero in ginocchio il settore – una prospettiva di stabilità nel tempo, con le conseguenti ricadute positive in termini economici ed occupazionali.
Sono alcune delle conclusioni che emergono dall’ultimo Renewable Energy Report redatto dall’Energy&Strategy Group della School of Management del Politecnico di Milano, presentato questa mattina: un’attenta fotografia di tutti gli aspetti legati alla produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili in Italia nel 2016, realizzata con il contributo di numerosi partner e di oltre 500 imprese, enti e associazioni.
Tuttavia, 778 MW sono un numero piccolo se lo si paragona ai 51 GW di potenza da fonte rinnovabili (33 GW se si esclude l’idroelettrico “storico” installato) e dunque insufficiente a garantire il necessario ricambio e il miglioramento tecnologico che può farne un asset strategico fondamentale per l’intero sistema elettrico.
“Servono interventi virtuosi di revamping e di repowering sulla base installata – è il parere di Vittorio Chiesa, Direttore dell’Energy&Strategy Group – come del resto chiedono in modo pressante anche gli operatori del settore, permettendo talora di riparare gli errori che la fretta, nei periodo di finestre strette per il conseguimento degli incentivi, ha fatto commettere. Sono interventi per i quali è necessaria la lungimiranza dei proprietari di asset, alle prese con la convenienza economica e i ritorni degli investimenti, la capacità della filiera di offrire soluzioni adeguate, la visione del legislatore nel garantirne la fattibilità. Insomma, serve un’azione dell’intero sistema”.
Rispetto al 2013-2016, le previsioni di mercato per il prossimo quadriennio sono più favorevoli. Si attendono infatti nuove installazioni per 4,4 GW così suddivisi: 2,3 GW nel fotovoltaico, 1,6 GW nell’eolico, 320 MW nell’idroelettrico e 200 MW in tutte le altre fonti (biomasse, geotermia, CSP). A questo vanno aggiunte le stime sull’andamento del mercato (dal 2017 al 2025) degli interventi di revamping/repowering. Nello scenario ottimistico, sono oltre 9 GW (il 17% del parco installato attuale, escluso l’idroelettrico “storico”) gli impianti che si pensa saranno oggetto di interventi di efficientamento, per un controvalore di investimenti pari a circa 5,5 miliardi di euro; cifre che scendono rispettivamente a 5,8 GW e 2,2 miliardi nello scenario pessimistico.
“Sono numeri importanti alla stessa stregua di quelli del mercato primario e sono numeri che hanno ricadute economiche e occupazionali estremamente significative sulla filiera impiantistica, dell’EPC e degli O&M delle rinnovabili – conclude Vittorio Chiesa -. Tuttavia, richiedono uno sforzo di coordinamento tra operatori, proprietari di impianti e ovviamente il regolatore, nazionale e locale, uno sforzo di sistema che forse il mercato delle rinnovabili in Italia è finalmente pronto a fare”.
Il quadro del mercato primario delle rinnovabili in Italia
Dopo il rallentamento del 2015, in Italia le installazioni legate alla produzione di energia rinnovabile sono tornate a crescere, a riprova che il mercato esprime ormai una domanda indipendente dai meccanismi di incentivazione, sebbene non ai livelli del periodo 2010-2013. La nuova potenza installata nel corso del 2016 è stata di 778 MW, inferiore di circa 112 MW (-12%) a quella dello stesso periodo del 2015, ma superiore di 78 MW di quella del 2014. Complessivamente la potenza installata da rinnovabili ha quindi superato la soglia dei 51 GW.
E’ di nuovo il fotovoltaico a guidare la classifica delle installazioni con 369 MW, seguito dall’eolico con 290 MW, mentre le biomasse chiudono con soli 40 MW. Il volume complessivo di potenza fotovoltaica installata a fine 2016 ha dunque raggiunto i 19.261 MW (+24% rispetto all’anno precedente) e il valore del mercato delle nuove installazioni i 637 milioni di euro: il comparto residenziale ha pesato per oltre 417 milioni (66% del totale), rappresentando il 57% della potenza installata con livelli di costo al kW di circa 2.000 euro. Ciononostante, si è registrata anche una leggera inversione di tendenza, con il 7% della potenza totale in impianti di taglia superiore a 1 MW.
Per quanto riguarda l’eolico, il volume complessivo di potenza installata superava i 9.450 MW a fine 2016, con un valore di nuove installazioni pari a circa 290 MW (-30% rispetto al 2015) e a 454,5 milioni di euro, oltre il 75% del totale (più di 344 milioni) rappresentati da impianti di taglia superiore a 10 MW. In numero di impianti, però, il 97% delle nuove installazioni riguarda quelli inferiori ai 200 kW, soprattutto a causa del fatto che al di sotto dei 60 KW è possibile accedere direttamente all’incentivo.
Il volume complessivo di potenza idroelettrica installata a fine 2016, invece, era di 18.606 MW, con un valore delle nuove installazioni pari a circa 79 MW, volumi simili rispetto al 2015. Le Regioni più attive risultano essere la Lombardia (13,3 MW), il Piemonte (12,8) e la Valle D’Aosta (8,4). Il valore del mercato delle nuove installazioni è pari a circa 327 milioni di euro, in larga parte attribuibile agli impianti di piccola taglia.
Infine, sommando le diverse tipologie di biomassa utilizzate per la produzione elettrica (biomasse agroforestali, biogas, bioliquidi, forsu) la potenza cumulata al termine del 2016 ha raggiunto i 4,2 GW, con una crescita di soli 40 MW nell’anno. Il trend di discesa delle nuove installazioni è qui tale da poter parlare di un mercato sostanzialmente fermo. Le uniche variazioni riguardano le biomasse agroforestali (+30 MW) ed il biogas (+10 MW). Sostanzialmente invariata la potenza delle altre fonti.
Il ruolo degli incentivi
Un ruolo ancora importante lo hanno giocato, ad esclusione del fotovoltaico, gli incentivi. Con il DM 23 Giugno 2016 sono stati incentivati 1,2 GW di potenza totale, circa la metà dei 2,4 GW assegnati con il DM Luglio 2012 (rispetto agli oltre 4,4 GW messi a bando). Se si mettono a confronto i due provvedimenti, tenendo presente che il primo comprende 3 tornate di aste, registri e rifacimenti mentre il secondo solamente una, si può notare che in entrambi l’eolico è quello che ha riscontrato tra gli operatori un maggiore interesse (con una potenza totale richiesta sempre molto superiore al contingente messo a bando) e che si riscontrano notevoli differenze in termini di potenza incentivata rispetto a quella messa a bando.
Il fatto indubbiamente positivo, vero soprattutto per l’eolico, è l’esistenza di una domanda di realizzazione di impianti da rinnovabili che esula dall’incentivo. Da qui si dovrebbe partire – a detta degli operatori – studiando soluzioni che vadano al di là del contingentamento per fonte, ad esempio attraverso aste “tecnologicamente neutre” che permettano un più efficace impiego del contingente a disposizione.
Una filiera finalmente solida
Partendo da un’analisi campionaria di oltre 914 imprese appartenenti alle diverse fasi della filiera, il report ha valutato lo stato di salute degli operatori delle rinnovabili in Italia, misurato attraverso la redditività del core business (EBITDA%). I dati raccolti hanno permesso di scattare diverse fotografie – anche per taglia dimensionale delle imprese – e di confrontare i dati dei periodi 2008-2012 (quello della grande espansione delle rinnovabili) e 2012-2015 (quello invece della grande crisi e del tentativo di ripresa).
“Il quadro che ne esce dovrebbe essere tenuto in debita considerazione nel momento in cui si decidano modifiche al contesto normativo e regolatorio – commenta Chiesa -. Innanzitutto, il tasso medio di crescita annuo (CAGR) di tutto il settore delle rinnovabili tra il 2008 ed il 2015 è pari a -2,4%, segno di un comparto che si trova oggi in una condizione peggiore, per quanto riguarda la redditività del core business, rispetto al 2008. Tuttavia, il pesante processo di razionalizzazione che ha lasciato sul terreno diversi operatori ha fatto sì che oggi, delle 914 imprese analizzate, ben 550 (il 60%) si trovi in una situazione di prestazione superiore alla media”.
Alla fase di crescita (CAGR medio +7,5% annuo) tra il 2008 e il 2012 è infatti seguito un calo drammatico (-14,2% all’anno) dovuto alle modifiche repentine del quadro normativo che ha sostanzialmente vanificato l’effetto degli anni precedenti, ma che tuttavia ha lasciato una filiera per certi versi più solida. E’ la categoria dei detentori di asset quella che (dati 2015) esprime ancora la maggiore redditività, con un EBITDA % che varia dal 14% circa del fotovoltaico sino al 27% dei detentori di portafogli multi-fonte, nonostante sia gravato dagli ammortamenti e dal servizio del debito.
Sono gli operatori di O&M invece quelli che hanno sopportato la maggior accelerazione (+68,5% annuo dell’EBITDA nel periodo 2008-2012 per il fotovoltaico) e decelerazione (-33,6% annuo dell’EBITDA nel periodo 2012-2015 per l’eolico) sulle “montagne russe” delle rinnovabili. Eppure, gli operatori di O&M risultano oggi solidi, con una redditività compresa tra i 7,2% delle biomasse ed il 16% dell’eolico.
“La filiera rimasta a seguito della contrazione del mercato è costituita dai soggetti più strutturati e organizzati, che esprimono redditività coerenti con un’attività industriale svolta in un mercato che ha raggiunto un maggior grado di maturità – conclude Chiesa -. Tuttavia, se si provasse ad applicare alla redditività misurata nel 2015 per le varie categorie lo stesso stress sperimentato nel periodo 2012-2015, tutti gli operatori di O&M, per non parlare della componentistica elettrica, si troverebbero in situazioni difficilmente sostenibili”.
Opportunità concrete di crescita: il revamping ed il repowering degli impianti esistenti
Allo stato degli impianti in esercizio per fotovoltaico, eolico ed idroelettrico e alle concrete potenzialità di revamping/repowering è dedicata un’ampia parte del Report. In particolare si sono valutate, insieme agli operatori del settore, le alternative concrete di investimento e la redditività attesa, prendendo anche in considerazione gli impatti di questi interventi sulla produzione elettrica degli impianti e le possibilità concesse dall’attuale quadro regolatorio.
Il mercato del fotovoltaico italiano può vantare un parco impianti di notevole potenza: grazie agli oltre 19 GW è il secondo mercato europeo per base installata. Il performance ratio (PR) caratteristico degli impianti di grande taglia si attesta intorno al 75%, mentre per gli impianti nuovi sale all’84-86%. Prendendo in considerazione il triennio 2010-2012 – quando è entrato in funzione il 70% dell’installato e le centrali solari rappresentavano oltre il 50% delle nuove installazioni – si deduce che il deterioramento degli impianti è stato più elevato di quanto ci si aspettasse.
L’analisi economica sulle opportunità di revamping e repowering nel fotovoltaico permette di evidenziare l’assoluta convenienza degli interventi che hanno per oggetto il riassetto del layout (e che fanno registrare IRR medi nell’ordine del 40-50%) e il posizionamento comunque sopra la soglia di convenienza, con la sola parziale eccezione degli impianti residenziali, degli interventi di sostituzione degli inverter. Per gli impianti più obsoleti questo intervento porta ad incrementi della produzione anche nell’ordine del 9%. Il fotovoltaico si conferma dunque un ambito dove gli interventi di revamping e repowering possono rappresentare alternative di investimento interessanti.
Il mercato dell’eolico conta un parco impianti di oltre 9 GW, il 30% dei quali (circa 2,7 GW) ha almeno 10 anni di vita ed entro la fine del 2019 vedrà terminare il regime incentivante dei certificati verdi. Nello specifico, circa 1.200-1.500 MW si apprestano a compiere 14-15 anni di attività e si avvicinano alla loro data di fine vita utile (20 anni), perciò si presentano appetibili ad attività di revamping o ricostruzione completa.
Il mercato dell’idroelettrico italiano, il più anziano tra quello delle rinnovabili, ha già subìto in passato un forte rinnovamento grazie ai regimi incentivati (certificati verdi e aste & registri per i rifacimenti/ricostruzioni parziali/totali): tra il 2001-2003 e nel quinquennio 2008-2013 oltre l’80% degli impianti di taglia superiore a 3 MW ha subìto opere importanti di ammodernamento.
L’analisi economica sulle opportunità di revamping e repowering nell’idroelettrico evidenzia, a differenza di quanto visto negli altri casi, come la convenienza economica sia ancora lontana. A differenza di quanto successo con i grandi impianti, che però hanno beneficiato di incentivi interessanti, è quindi assai più ardua la strada dell’efficientamento per gli impianti di taglia piccola o media.
Le forme di finanziamento innovative
L’andamento delle emissioni a livello globale di Green Bond dal 2007 al 2016 ha registrato una crescita estremamente significativa, con un balzo verso emissioni complessive per oltre 100 miliardi di euro che sembra essere solo l’inizio (le previsioni per il 2017 parlano di quasi 200 miliardi di euro di nuove emissioni).
Si tratta di obbligazioni con una determinata scadenza e un vincolo “forte” all’utilizzo dei capitali raccolti per impieghi quali gli investimenti in rinnovabili. La crescita del mercato delle obbligazioni verdi si deve nel 2016 soprattutto all’ingresso massiccio della Cina (44% delle risorse complessive raccolte). Anche l’Europa si sta muovendo in maniera significativa: Polonia e Francia sono stati i primi Paesi europei ad emettere Green Bond di Stato tra la fine del 2016 e l’inizio del 2017 e anche Germania e Lussemburgo paiono essere mercati con una certa vitalità.
Discorso a parte merita l’Italia, che sta muovendo i suoi primi passi in questo ambito. Spetta ad HERA il primato dello strumento: la multi-utility è stata infatti la prima impresa italiana ad aver lanciato nel 2014 un’emissione obbligazionaria decennale che tuttavia è stata inizialmente quotata sul mercato Lussemburghese e solo recentemente inclusa nel segmento dedicato ai green e/o social bond sul mercato ExtraMOT di Borsa Italiana.
Sempre all’estero in Lussemburgo – e non ancora rientrato in Italia – è stato emesso nel 2016 il Green Bond da 375 milioni di euro di Alperia. E’ però Enel, attraverso la controllata Enel Finance International, ad essere a tutti gli effetti la prima impresa italiana a collocare il 9 Gennaio 2017 in Italia un Green Bond Corporate, destinato ad investitori istituzionali e assistito da una garanzia rilasciata dalla stessa Enel. L’operazione ha raccolto adesioni per un importo di circa 3 miliardi di euro, manifestando chiaramente l’interesse del mercato.
In Italia dunque sono gli operatori industriali ad avere fatto il primo passo. Ora potrebbe toccare al Governo, seguendo l’esempio francese, dove si sono mossi contemporaneamente sia il Governo sia i principali operatori industriali del Paese, oppure si potrebbe pensare ad una terza via dove siano le banche a convogliare nuovi capitali per gli investimenti in rinnovabili.
La crescita dello storage e del biogas
Uno dei segmenti di mercato più vivaci nel mondo delle rinnovabili è quello dello storage, che vede la presenza in Italia di diversi operatori e tipologie di offerta. Nonostante le aspettative di riduzione dei costi è però ancora limitata la redditività economica per questa tipo di investimenti, dal punto di vista dell’impiego sia nel residenziale che negli impianti di produzione da rinnovabili. Tuttavia, nell’ottica di una progressiva elettrificazione dei consumi (ad esempio a seguito della diffusione della mobilità elettrica) e della conseguente maggiore redditività dell’autoconsumo per i prosumer, il potenziale per questo tipo di soluzioni è destinato a crescere. La scelta, peraltro già fatta da altri Paesi, di consentire anche alle rinnovabili (e a maggior ragioni a quelle dotate di sistemi di storage) di partecipare al mercato dei servizi di rete appare dunque l’unica via per garantire un’opportunità di sviluppo di queste applicazioni anche in Italia.
Altro mercato in relativo fermento è quello del biogas, soprattutto per la produzione di biometano. Al 2016 sono stati realizzati in Italia solo 7 impianti che producono biometano, la maggior parte dei quali di tipo dimostrativo, in pratica prototipi di impiantisti, società di engineering o soggetti che vogliono proporsi come partner tecnologici. Questa situazione certo non incoraggiante è comunque il frutto di un percorso normativo lungo e assai articolato, ampiamente descritto nel Report.