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~DBuongiorno,
sono l’Ing. Alessio Vannuzzi, mi occupo di progettazione, consulenza e formazione in ambito impiantistico elettrico ed in particolare di impianti home & building automation. Premesso che forse sono stato uno dei pochi, a quanto pare, ad esultare all’uscita della V3 prima e della settima edizione poi, della CEI 64-8, da tempo mi pongo una domanda.

Ma se storicamente uno dei problemi per cui non si sono mai fatti così tanti impianti domotici in Italia è la “fama” per cui questi impianti costano troppo all’utente e visto che altresì invece ci sarebbe stato, ci sarebbe e ci sarà un gran bisogno di ammodernamento degli impianti elettrici nuovi ed esistenti, ma perchè è stato scelto di definire “domotica” il livello 3, che oggettivamente già di per se, senza la “domotica” ha un costo decisamente superiore rispetto ad un livello 1 per via delle varie dotazioni minime obbligatorie e non si è pensato alla possibilità di fare 2 versione dei livello 1, 2, 3 e 1 domotico, 2 domotico, 3 domotico? Lo dico perchè oltre al prezzo, l’attuale formula rende anche difficile far capire, credere ed accettare ad un committente che si può fare anche un livello 1 o 2 in domotica, ma che però non avrà il nome “livello 1 o 2 Domotico” perchè la norma chiama livello domotico solo il 3. Per non parlare, e mi è già successo almeno 4/5 volte, del fatto che molti installatori credo che nel momento in cui fai un impianto domotico, al di là delle dotazioni (numero prese, punti luce, circuiti, ecc…) sia un livello 3.

Non sarebbe stato molto più proficuo far capire che al di là del livello prestazionale e di sicurezza che le dotazione previste dai 3 livelli, il PLUS sarebbe stato rendere il livello prescelto domotico in quanto sistema più performante? E finalmente avviare una politica di sensibilizzazione, informazione e formazione in merito?

Ing. Alessio Vannuzzi via form

~RParlo a titolo personale. La scelta di identificare come “domotico” il solo livello 3 è una sciocchezza (mi risulta sia già stato più volte segnalato ai CT del CEI) e sicuramente genera confusione. In generale non ne faccio una questione di “prezzo”, ma di cultura tecnica, sia dell’installatore che del committente. Parto dal presupposto che di fatto nelle nuove costruzioni e nelle ristrutturazioni “importanti” il costo per la predisposizione degli spazi installativi di un impianto tradizionale, o di un impianto “evoluto” è esattamente lo stesso. Solo che troppo spesso la predisposizione per un impianto domotico non si fa. Quando la si fa, la si fa male.

Dobbiamo secondo me interrogarci sui veri motivi per cui l’home automation di fatto non “sfonda” nel nostro paese. Gli installatori non hanno voglia di “studiare”? L’utente finale considera l’impianto elettrico l’ultimo degli accessori della casa? La comunicazione dei portatori di interesse è spesso fatta con modalità discutibili? La diffusione di dispositivi wi-fi plug and play è una concorrenza spietata? E’ colpa della corsa al preventivo più basso?

Non si riescono a comunicare i vantaggi di un impianto fatto “come si deve” (un esempio non da poco è la possibilità di sostenere le esigenze domestiche di una popolazione che invecchia), il che è assurdo… ci guadagnerebbero tutti!
L’utente finale deve essere convinto a pretendere un impianto intelligente, proprio come pretende gli alzacristalli elettrici sull’auto che acquista o la telecamera nello smartphone.

La strada è quella da lei indicata: formazione e informazione, ma riusciremo (per primi noi addetti ai lavori) a metterci d’accordo su come percorrerla?

Luca Vitti
Direttore tecnico NT24